I socialisti di Rama verso il terzo mandato
Albert P. Nikolla – Viceministro della Sanità e Affari Sociali del Governo Albanese
C’è un passaggio molto interessante nel libro dell’autrice Helena Kadare dal titolo “Tempo insufficiente”, ove si tratta la questione relativa alle enormi difficoltà di comprensione tra gli albanesi. Riferendosi a Ismail Kadare, lei scrive: “L’Albania è stancante… esisteva una consapevolezza diffusa che intendersi tra gli albanesi fosse la cosa più difficile al mondo. Con un mezzo sorriso, a lui piaceva ripetere che con gli albanesi non si poteva capire mai cosa si dovesse fare”. Spesso, penso anch’io che il politico e ora premier Edi Rama si trovi, purtroppo da parecchio tempo, di fronte alla medesima difficoltà con l’opposizione albanese: una tenacissima incomprensione.
Può sembrare un’ovvietà, ma affinché due persone o gruppi di persone si intendano, è condizione necessaria che una delle due parti dica la verità e l’altra – a sua volta – abbia il coraggio accoglierla come tale. Credo che in Albania, nei momenti cruciali della sua storia, non sia mancato l’impegno della verità, ma l’incapacità di capirla e perfino talvolta di assumerla è stata la causa principale dei nostri guai che sono diventati endemici ai limiti del diabolico, lasciando di conseguenza una traccia indelebile nella nostra martoriata coscienza politica e sociale. E così radicato si è rivelato questo fenomeno della discordia nella realtà albanese, da indurre il nostro illustre scrittore Ismail Kadare a scrivere un saggio ad hoc su di esso, nel quale cerca di risalire alle cause, poiché da una buona diagnosi delle radici e da un tentativo di superamento della impasse attuale, dipende il nostro cammino verso il bene comune, umano, sociale e politico. (Ismail Kadare, La Controversia, saggio pubblicato nel 2009)
Come ormai è noto, il movimento studentesco albanese, nato sul finire degli anni novanta, sulla falsariga di altri movimenti dei paesi dell’Europa dell’est comunista, per rivendicare libertà politiche e sociali, contemplava come conditio sine qua non la possibilità di un patto di concordia nazionale tra gli albanesi per gustare meglio il respiro della libertà. Infatti, questo desiderio di concordia e di accordo era stato forgiato quasi di nascosto sotto la lunga dittatura albanese ed era stato alimentato da quella passione per la libertà che ogni uomo e ogni donna aspettava per dare attuazione alle giuste istanze di pace. Purtroppo, proprio il primo partito di opposizione, nato nel travaglio della transizione comunista, appena arrivato al governo nel 1992 si trasformò – in poco tempo – in un gruppo tribale, violento e parapolitico, minando ogni possibilità di accordo sociale e di intesa tra fazioni. La via del normale e fisiologico dialogo tra esse tornò arduo soprattutto con l’impadronirsi del potere da parte del Partito Democratico albanese. Il suo principale strumento di potere, la ex securitate albanese, la famigerata SHIK (servizi segreti albanesi), divenne il nemico mostruoso contro la libertà di espressione e di associazione nel nuovo contesto formalmente democratico dell’Albania dei primi anni novanta. La libertà di parola era presupposto primordiale indispensabile per l’Albania di quel periodo, luogo irrinunciabile per la pace sociale tra i suoi cittadini, i cui animi erano esasperati dalle tenebre della violenza sotto la dittatura comunista. Purtroppo una nuova violenza stava piombando e facendo la sua comparsa nel Paese delle aquile, questa volta prendendo i colori dell’abito blu.
Tante menti brillanti di donne e uomini, che lungo il corso del movimento studentesco e fino alla vittoria del primo partito di opposizione si erano prodigati a interrompere il grigiore di parole trite e ritrite e dei piatti luoghi comuni, tentarono di introdurre parole di saggezza così da provocare all’animo umano un brivido, una scossa alla coscienza ancora viva e alla mente un stimolo, ma si trovarono di fronte ad un nuovo mostro dalle stesse radici: violenza e discordia generale. Il presidente eletto democraticamente nell’aprile del 1992 e dal quale ci si aspettava a furore di popolo una promozione verso la democrazia e lo stato di diritto, si auto convertì in un capo tribù che non accettava la diversità di opinione e di pensiero. Le pubblicazioni dei giornali filo governativi di quel tempo suggerivano alla mente un passo scritto nelle finestre intime e sofferte dello scrittore francese Charles Baudelaire: “Ogni giornale, dalla prima all’ultima riga, non è che un tessuto di orrori e un’ebbrezza d’atrocità universale. E con questo disgustoso aperitivo l’uomo civilizzato accompagna il suo pasto ogni mattina”.
La deriva ad un totalitarismo straccione da parte del partito democratico e l’impossibilità delle voci critiche al suo interno – per arginare la valanga di imbecillità e di animosità del suo gruppo dirigente – crearono una fanghiglia tenebrosa dentro la quale si disputava un sporco gioco politico all’insegna della violenza e dei malintesi ricercati appositamente. In questo pantano morale in cui sguazzavano e si alimentavano rospi di una politica delinquenziale, si crearono le premesse per l’incarcerazione di alcune figure di spicco del partito socialista e il ricorso alla violenza brutale contro di loro, soprattutto dopo i brogli delle elezioni politiche contestate del 1996, sotterrando ogni possibilità di intesa politica. Alla situazione tesa post-elettorale del 1996, fece seguito la precipitazione della situazione in un conflitto civile, culminato nel folle anno 1997 con un bilancio tragico di circa 4000 vittime di cittadini innocenti. Questo anno tragico segnò uno spartiacque storico nel bene e nel male: e dico anche nel bene, perché finalmente fu per tutti palese che il partito democratico era ridotto ad una squadriglia fascista, che cercava di mantenere ad ogni costo il potere attraverso la violenza e con questo scaturì la ferma opposizione dei cittadini albanesi alle nuove potenziali tirannie vestite sotto le mentite spoglie libertarie. Si cercò in definitiva – tutti insieme – di portare queste spinte antidemocratiche al loro definitivo tramonto.
Per il Partito Socialista, in quell’epoca all’opposizione, stretto nella morsa di una politica sporca, fu assai difficile esprimere le sue potenzialità e la sua impronta ideologica, poiché i metodi del Partito Democratico al potere non lasciavano spazi di manovra per una politica volta allo spirito di emancipazione. A volte, addirittura alti esponenti del Partito Socialista furono attratti a diventare brutta copia delle figure più autorevoli del Partito Democratico, imitandone il comportamento e l’azione politica secondo il modello della rivendicazione: quell’“occhio per occhio” nei riguardi dell’avversario politico che viene degradato al rango del nemico. Certamente questi alti esponenti del partito socialista non avevano compreso nulla sul fatto che lo spirito profondo dei membri e dell’elettorato del partito era intriso di spirito europeo così anche quella visione turbolenta e distorta di scorgere il nemico dappertutto, era tramontata definitivamente. Ricordo ai fini di questa trattazione che “l’astro nascente” il cowboy Ilir Meta, cui piaceva imitare il comportamento del capo tribù del partito democratico, una volta arrivato al governo, cominciò a vivere il potere per sé come qualcosa di eterno e intangibile. La sua somiglianza con il leader del partito democratico era evidente agli occhi di tutti e dopo alcuni anni lo stesso Ilir Meta (attuale Presidente della Repubblica) non ha fatto mistero della “sua debolezza e desiderio ardente” di essere amico stretto di costui… Basti ricordare e rivedere le scene della campagna elettorale del 2001, in parte condotta da Ilir Meta, per capire quanto somigliasse in tutto a quel modello. Tutto quanto stiamo affermando, dimostra che Ilir Meta non ha niente in comune con la sinistra albanese e la sua missione politica: dopo il distacco dal partito socialista – nel tentativo disperato di scimmiottare la sinistra e contenderle il suo bacino elettorale con una operazione di disturbo – è nato già il suo partitino personale, denominato, il Movimento Socialista Per L’Integrazione (LSI). Questa appendice politica “disintegrata”, dai tratti politici e culturali fortemente tribali; il fatto che la sua denominazione o acronimo formale tenta di evocare in modo fasullo e ipocrita l’integrazione europea non ci deve trarre in inganno. Perciò ribadisco che il dilemma, per quanto ingenuo, sulla identità politica e ideologica della creatura di sinistra di Ilir Meta, deve essere superato, poiché si tratta veramente di un raggruppamento parapolitico di stampo tribale: la vera sinistra albanese è rappresentata in modo naturale nel partito socialista dell’Albania.
Nel momento in cui incombeva l’insidia della caduta del partito socialista nel baratro della pseudo democrazia e nell’imitazione del modello del suo rivale politico, ci furono due personaggi e due avvenimenti che salvarono e mantennero il partito sui suoi binari culturali e politici. Il primo avvenimento, che in seguito si rivelò di fondamentale importanza, fu la capacità di lanciare nuovi apporti nella compagine del governo socialista, soprattutto la nomina a ministro della cultura di un soggetto molto interessante quale il giovane artista Edi Rama, mossa politica innovativa che diede avvio ad una rivoluzione importante nello scacchiere politico albanese e soprattutto nella modernizzazione della sinistra secondo i valori della sinistra europea. La scelta dell’allora Premier Fatos Nano di eleggere ministro della cultura il giovane e attivista culturale Edi Rama, va letta come chiara indicazione, che un nuovo inizio non può che essere concepito attraverso la cultura. Edi Rama inaugurò in tutta fretta un altro modo di fare politica, non solo emancipandosi dalla mentalità inquinante del nostro pantano politico, ma portando all’interno del partito e della politica una nuova ventata di ossigeno politico, inclusivo e costruttivo, trovando un’entusiasta accoglienza tra i membri del partito. Per quanto importante fosse la nuova cultura politica e l’entusiasmo con cui fu accolta la discesa di Edi Rama nella politica albanese, bisognava avviare un secondo spazio pubblico per testare sul campo le capacità politiche e di gestione e amministrazione concreta della cosa pubblica. L’elezione a sindaco di Tirana, capitale dell’Albania, fu il vero banco di prova per esprimere la nuova cultura politica, le capacità di gestione della cosa pubblica e l’orientamento indiscutibile e irreversibile verso l’integrazione europea dell’Albania. Tutta la novità politica che portò Edi Rama era in epico contrasto con gli zig zag mercanteggianti della vecchia politica conflittuale e sterile che regnava indisturbata e sovrana fino a quel momento in Albania. “La nuova politica è la politica della verità, della comunicazione diretta, e di un rapporto aperto ed etico con i cittadini, le istituzioni, gli avversari o rivali politici. La nuova politica è passione, dedizione e servizio”. (E.Rama, “Per un partito socialista del nuovo secolo”). Questo nuovo discorso politico suona molesto alle orecchie dei vecchi politici che avevano come modello ispiratore il “pascià” dell’Impero Ottomano.
Il secondo avvenimento chiave nella battaglia, per trattenere il partito socialista nel suo solco naturale e progressista, è legato alla grande mossa del secondo personaggio importante, l’ex leader Socialista Fatos Nano, il quale riuscì a sconfiggere il modello del leader del partito democratico nel partito socialista, scongiurando il pericolo di fare naufragare e sfracellare il partito contro gli scogli della rigida mentalità tribale e parapolitica. Fatos Nano, leader storico del partito, politico di lungo corso e premier dell’Albania durante la transizione democratica del paese ebbe il fiuto ma anche lo spirito tipico del socialista di comprendere che l’imitatore tribale Ilir Meta era diventato ormai un ectoplasma all’interno del partito socialista e non poteva più rimanere a ricoprire la carica del premier, poiché così umiliava i valori che ispiravano tutti i socialisti. Paradossalmente, proprio con la mossa della defenestrazione di Ilir Meta da capo del governo per iniziativa di Fatos Nano, ebbe inizio la sua parabola discendente nella politica e certamente a questo suo sussulto di grande responsabilità politica; ben si addice un frammento della commedia di L. Pirandello, “Il Piacere della Onestà”, nella quale il protagonista proclama: “È molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere ogni tanto, galantuomini sempre”.
Gli scontri furiosi all’interno della dirigenza del partito socialista e la sconfitta sonora del suo altro esponente, dopo qualche tregua fittizia portarono alla scissione del gruppo minoritario sconfitto e come abbiamo già detto nelle righe precedenti, alla formazione di un nuovo partito politico, fintamente di sinistra, denominato movimento socialista per l’integrazione europea (LSI). Questa distacco di una piccola frazione dal Partito Socialista avviene proprio alla vigilia delle elezioni politiche del 2006 e purtroppo, complici anche alcuni algoritmi strani della legge elettorale, provocarono quello che non si pensava, ossia l’impossibilità di continuare l’esperienza di governo e delle riforme. Davvero era successo l’incredibile e i socialisti non credevano ai loro occhi mentre vedevano salire all’ufficio del Primo ministro la persona su cui pendeva la responsabilità principale per la tragedia del 1997, con la capitolazione dello stato e la quasi guerra civile. Il premio della sconfitta e della divisione della sinistra venne proprio da un ex figlio prediletto del partito socialista, al quale erano state affidate generosamente tante cariche politiche e istituzionali, culminando in quella del premier, quando aveva solo 30 anni. È chiaro come la luce del sole che questo ingrato personaggio politico ha infranto i cuori dei socialisti in modo irreversibile e ogni collaborazione con il suo piccolo partito è stato condizionato dalle contingenze storiche e non da una vera e propria condivisione politica e ideologica. Il periodo di governo del partito democratico insieme alla sua stampella “movimento socialista per l’integrazione europea” (LSI), segna il ritorno della vecchia politica al governo, la cui azione ispirava e produceva violenza, corruzione diffusa, irresponsabilità spaventosa nella gestione della cosa pubblica, come fu il caso dell’esplosione di una caserma di smistamento di materiale militare nei pressi di Tirana in cui persero la vita 26 persone. Questa caserma divenne da focolaio di corruzione un focolaio di morte grazie all’avida logica dei vertici di governo del partito democratico.
Un esempio di evidente oltraggio alla dignità umana si ebbe durante il periodo della famigerata alleanza tra il partito democratico e il movimento socialista per l’integrazione europea, quando un ex prigioniero politico di nome Lirak Bejko si cosparge di liquido infiammabile e si dà fuoco in segno di protesta contro il governo che ignora completamente le loro legittime rivendicazioni, imitando il gesto dello studente cecoslovacco Jan Palach. Il caso fu liquidato con indifferenza irresponsabile e senza un minimo di rimorso di coscienza.
In questo clima di tristezza e desolazione in cui era degenerata la politica albanese a causa del malgoverno del partito democratico, il partito socialista vince le elezioni del 2013. Le straordinarie riforme politiche e istituzionali intraprese dal nuovo governo nella prima legislatura, crearono le premesse per la riconferma della maggioranza socialista con un secondo mandato. Le riforme e la buona amministrazione della cosa pubblica sono solo una faccia della medaglia nella politica, la quale per essere autentica, ha bisogno di una rifondazione culturale ed etica, certamente accogliendo i suoi tempi un po’ lunghi di fermentazione.
La vecchia politica, sebbene avesse perso le elezioni, non accettava in nessun modo la sconfitta sul versante culturale. Perciò, fin dall’inizio ha imposto una politica diabolica e distruttiva di disturbo e addirittura di boicottaggio dell’azione del governo, nel tentativo di paralizzarla sul piano politico e culturale. L’apice di questa azione distruttiva, fu raggiunto con la decisione di abbandonare definitivamente il parlamento “bruciando” i mandati dei suoi deputati, ricordandoci la sua indole anti-istituzionale di sempre, come nel difficile anno 1997, che mise a ferro e fuoco l’intero paese. Infatti, non è facile per niente esercitare il potere e fare politica in queste condizioni in cui l’opposizione e terribilmente mal predisposta a collaborare dialetticamente, approfittandosi del suo status formale derivante dal contesto democratico, per propagare delle idee malsane per un finto bene del paese, traviando la buona fede dei suoi sostenitori, ridotti a passivi spettatori di dichiarazioni eversive.
Con questo clima politico ci apprestiamo ad affrontare le prossime elezioni politiche. Come socialisti è nostro dovere impegnarci e chiarire i termini della situazione, cercando di persuadere porta a porta l’elettorato distratto, affinché l’unica alternativa vera di governo possa essere quella del partito socialista. Questo impegno non è teso a delegittimare l’opposizione, anzi, ad aiutarla a tornare sui binari della costituzione e dell’etica politica, emancipandosi dalle grinfie di due o tre persone, che tengono in ostaggio l’alternativa di governo di una fisiologica opposizione, in funzione dei propri meschini tornaconti.
Per il partito socialista le prossime elezioni politiche saranno anche una sorta di incontro con la storia e la sua battaglia politica: più che con l’ostracismo dell’opposizione attuale, proprio con se stessa e la sua capacità di innovarsi, poiché in gioco non c’è la vittoria elettorale, ma il destino europeo dell’Albania. Non è casuale che l’intensità della violenza nelle manifestazioni di protesta dell’opposizione sia stato particolarmente alto alla vigilia di decisioni importanti della Commissione Europea sul percorso di integrazione europea dell’Albania. Alcune volte l’opposizione è riuscita a rinviare le decisioni inclusive dell’Europa nei nostri confronti; certamente questi rinvii hanno motivato ulteriormente il governo socialista a progredire nell’agenda europea. Questo orientamento strategico del governo di Edi Rama è stato ben sintetizzato in un suo saggio, “Per un partito socialista del nuovo secolo”: “… sentire la responsabilità di portare l’Albania in Europa significa mettere al centro della politica l’Europa, non come un sogno ad occhi aperti, nemmeno come obbiettivo senza scadenza oppure un luogo comune ripetuto fino alla noia, ma come intima consapevolezza individuale e collettiva che detta la natura di ogni comunicazione tale da costituire l’essenza di ogni iniziativa politica e civile che si incarna nella sostanza del prodotto dell’azione di governo”.
In verità, all’ostruzionismo di questa opposizione anti europea nel nostro cammino verso l’Europa, dobbiamo contrapporre l’impegno frenetico di accelerare le riforme necessarie in chiave europea, appianando piccoli disaccordi e malintesi, nonché errori del passato, facendo leva su quei valori che non sono mai mancati alla nostra famiglia socialista, come in primis l’amore per la patria. Dobbiamo fare memoria dei beni ricevuti dalla nostra comune storia politica per non perdere i valori, le idee, la creatività che il passato politico ci ha lasciato in eredità. Ci accorgiamo con un certo stupore che il verbo “ricordare” nella Bibbia è il verbo della fede, della speranza e della vita e invece il verbo “dimenticare” è quello della apostasia e della morte. Come socialisti del nuovo secolo, non ci è permesso di dimenticare la grande missione che abbiamo di fronte. Non posso non concludere questa riflessione sull’appuntamento con la storia, con un passaggio superbo del nostro grande scrittore Ismail Kadare: “L’Albania non poteva esserci in questo mondo, se non seria e morale. Se gli albanesi cogliessero ciò nel tempo giusto, naturalmente arriverebbero alla verità chiara, che non permette a nessuno, in primo luogo a se stessa, di spegnere quella fiammella di cui ci ammoniva l’antico inno… quell’inno che si sarebbe avvicinato con timore alla piazza delle nazioni di fronte all’inno dell’Europa”. (Ismail Kadare, La Controversia).