Salute

Doll theraphy: che cos’è? E’ davvero salutare?

Una terapia che forse non tutti conoscono, ma che sembra salutare per chi soffre di malattie come l’alzheimer è la doll theraphy, ovvero la terapia con le bambole. Ma come funziona? Apporta davvero dei benefici?

Come funziona

La terapia con le bambole consiste nel mettere nelle mani del malato di alzheimer proprio una bambola, come quella con cui giocano i bambini, o comunque un peluche a forma di cane o gatto. Il soggetto in questione, poi, dimostra quasi un’empatia verso questo oggetto, che diventa un vero e proprio strumento da terapia.

Tuttavia, i medici dicono comunque di non usare la bambola troppo spesso, perché si rischia di ottenere una funzione contraria, e presto il paziente vi può dimostrare indifferenza. Ci si deve rendere conto che per i malati, la bambola può essere proprio confusa per un bambino, e per questo è importante presentarla come un oggetto inanimato, ma alcuni possono comunque scambiarla per un bambino vero. Altri, poi, reagiscono rifiutandola.

I dottori consigliano di togliere la bambola o il peluche dopo una o due ore, in modo da creare una pausa e fare sì che quella di “coccolare” l’oggetto diventi uno stimolo piacevole, perché in caso contrario può creare ansia. Se la persona la rifiuta, si porta e si prova il giorno dopo.
È necessario interrompere la terapia se la relazione con la bambola è aggressiva, se la persona tratta male la bambola o se ha del dolore fisico per cui il focus non è la bambola.

I benefici

Tra i benefici riscontrati nei pazienti che si sono sottoposti alla terapia, il primo è sicuramente stati la riduzione di attacchi di ira o ansia, perché inevitabilmente la bambola suscitava atteggiamenti dolci, e ciò ha limitato in loro anche l’insonnia.

La bambola, poi, in alcuni ha rievocato piacevoli ricordi, alcuni anche del periodo dell’infanzia, che ha aumentato la sensazione di benessere negli anziani. L’oggetto, poi, è diventato anche un modo per creare delle relazioni tra gli ospiti delle strutture, e con chi si occupa di loro, in quanto li toglieva dallo stato d’apatia e, di conseguenza, si è dimostrato un buon antidepressivo.

Questa terapia, nata in Svezia negli anni Novanta, è stata provata, inizialmente, in vari ricoveri per anziani, dalla terapeuta Britt-Marie Egedius-Jakobsson. In Italia, invece, tra i responsabili della sperimentazione vi è il dottor Ivo Cilesi (deceduta all’ospedale di Parma nel marzo 2020 a causa del Coronavirus).