Falsetto Montale: quando è stata scritta questa poesia? Di cosa tratta?
La scoperta della poesia da parte di Eugenio Montale passa attraverso la musica, la quale è anch’essa, per lui, una scoperta, una grande scoperta. E la scoperta, poi, si può evolvere in una storia d’amore, come per le persone. L’amore del poeta genovese per la musica è correlato alla sua passione per il melodramma. E tutto ciò porta a riflettere sul componimento Falsetto: la parola indica un’alterazione della voce maschile a imitazione della voce femminile, una manipolazione timbrica volta a emettere suoni acuti con un volume e un’intensità più leggeri che se si cantasse a voce piena. Questo titolo è riferimento montaliano, forse ironico, all’arte canora.
Composizione e collocazione editoriale di Falsetto
Lo scrittore, filosofo e politico Eugenio Montale, premio Nobel per la letteratura (1975), compose questa lirica nel 1923-24. Lo schema metrico presenta tre strofe “a canzone” con distico finale, i versi sono di vario tipo. L’epoca della raccolta che contiene il brano è quella dei futuristi e dei vociani, quando ritmo, forma e perfino sintassi vengono infranti, seppure Montale, in essa, ricostruisce il verso classico, forma chiara e definita, utile alla descrizione della frantumazione del senso e della vita. Il componimento oppone l’io del poeta, che è un prigioniero senza scampo del “male di vivere”, con coloro che sembrano vivere felici, liberi dall’angoscia (rappresentati da Esterina).
Falsetto è tra le prime poesie della raccolta Ossi di seppia, pubblicata nel 1925 dall’editore e giornalista Piero Gobetti e risultato di una selezione dello scrittore sulle sue liriche giovanili, da lui definite “proto-montaliane”. Non c’è una vera documentazione o delle dichiarazioni dirette di Montale su Ossi di seppia, inizialmente intitolato Rottami. Il titolo dovrebbe derivare da un’immagine allegorica caratterizzata da quella struggente e sintetica efficacia propria dei poeti: come di una seppia, alla sua morte, rimane solo l’osso, della libertà dell’uomo rimane poco, solo l’anima e il pensiero; e come l’osso della seppia, galleggiando, viene portato sulla spiaggia, in tal modo il poeta è allontanato dal mare, che rappresenta la felicità e la natura.
Quella di Ossi di seppia è una poesia scarna e semplice, in opposizione alla poetica novecentesca e alla carica retorica dannunziana. La raccolta non ha ancora la forma di un canzoniere strutturato, che è più del Montale maturo, ma ci sono comunque elementi che indicano un’interna coesione tra i brani. È interessante tener conto dell’educazione musicale che il poeta ricevette fra il 1915 e il 1923: la volontà di imitare la musica con le parole era presente in diverse liriche, delle quali soltanto Corno inglese confluirà in Ossi di seppia.
Analisi tematica del testo
Il primo verso di Falsetto sembra quasi scuotere il lettore, turbarlo nelle sue poche certezze, con un tocco di leggera ironia. La gioventù è un bene prezioso, è sentimento comune. L’infanzia e la giovinezza sono età della felicità, in Leopardi, l’età delle promesse. Ma Montale, che si rivolge a Esterina ad apertura del primo verso, le dice: “i vent’anni ti minacciano”. Forse perché questa ragazza, che si tuffa in mare, che è immagine della vita che si realizza, si dà ad essa con abbandono, non pensando alle possibili angosce in agguato.
Il mare è oggetto simbolico. Farebbe pensare alla liberazione, se non fosse contemplato da lontano. Il pesciolino, catturato nella rete, sarebbe condannato ma trova la smagliatura e si libera. Esterina attinge alla felicità che proviene dall’immedesimarsi con la natura (eco dannunziana), dall’aderire totalmente alla realtà. Il distico finale sigilla una conclusione che appare quasi inevitabile, seppur dolorosa: il poeta appartiene alla “razza/di chi rimane a terra”, di chi guarda la vita da lontano, costretto dalla morsa dell’angoscia. La minaccia del tempo e della vita incombe ma Esterina non la percepisce, la percepisce l’autore che freme per lei, l’autore che pensa che la fanciulla abbia effettivamente ragione, poiché, tra i due, è quella che non si lascia turbare e partecipa della vita che si realizza.